11/20/2008

Cosa sono gli USI CIVICI

Trattasi di un fenomeno unico (ma variegato) di diritti goduti in comune da una collettività, senza divisione per quote, tutti sono diritti reali di godimento perpetuo per ritrarre dalla terra le utilità essenziali per la vita.

Si calcola che, al momento della formazione del Regno d’Italia, la proprietà e i diritti collettivi interessassero non meno dell’80% del territorio nazionale; oggi, dopo la forzata e spesso illegittima privatizzazione durata oltre 100 anni, non ne residuano più di 5-7 milioni di ettari – tra il 10 e il 15 % del territorio nazionale.

Bisogna distinguere:
- gli usi civici, secondo alcuni sono diritti reali pieni ma solo su alcune utilità che determinate terre (non di proprietà collettiva) di altri soggetti (beni di ex feudatari, poi trasferiti a Comuni o a privati) producono (pascolo, legna, funghi, caccia, pesca, acqua, sassi, semina), oppure - secondo altri - vere e proprie servitù, che la Legge 1766/1927 intendeva "liquidare".
- le terre civiche, ovverosia le terre dalle quali si ha il diritto di ritrarre tutte le utilità che esse possono dare. E la terra è della collettività, una collettività costituita da tutti i cittadini della circoscrizione in cui risiede la collettività (ed allora sono terre civiche aperte); o una collettività costituita dai discendenti dei vecchi originari (ed allora sono terre civiche chiuse o meglio terre collettive).

Nel meridione, le forme di proprietà collettiva su terre proprie (terre civiche aperte) erano dette: demanio universale o communale o comunale o civico, mentre le forme di diritti collettivi di uso su terre altrui erano dette “demanio feudale”, o meglio con tale termine si designava la terra su cui essi si esercitavano perché terra concessa in feudo e perciò “appartenente” al feudatario. Tutti i due tipi di diritto collettivo godevano e godono delle qualità della inalienabilità, indivisibilità, inusucapibilità, imprescrittibilità, perpetua destinazione ad un determinato uso. Trattasi di quelle stesse qualità che caratterizzano i beni pubblici che oggi chiamiamo demanio.

Il corpus normativo di riferimento è costituito, principalmente, dalla Legge dello Stato 16/06/1927, n. 1766 e dal relativo Regolamento di attuazione RD 26/02/1928, n. 332; inoltre, dalle successive norme (nazionali e regionali) in materia di usi civici, nonché dalle precedenti leggi di eversione della feudalità (Legge 01/09/1806, RD 08/06/1807, RD 03/12/1808, Legge 12/12/1816, RD 06/12/1852, RD 03/07/1861, Ministeriale 19/09/1861 ed altre).

Questa figura giuridica, nata in epoca alto medioevale, ha visto una sua organica regolazione ai primi del Novecento, quando nacque l'esigenza di consentire ad alcuni soggetti privati di usufruire in piena proprietà di beni che spesso (ma non sempre) erano demaniali e che erano per l'appunto gravati da tali oneri.

Discende da una tipologia di diritti tendenti a garantire la sopravvivenza o il benessere di una specifica popolazione, sfruttando in modo produttivo aree circoscritte, in tempi in cui il feudatario, su mandato dell'imperatore, re o papa possedeva non solo le terre, ma anche uomini, cose e animali.

La titolarità dei diritti di uso civico spetta alla popolazione.

L'uso civico nasce come diritto feudale, caratterizzato dall'utilizzo che una determinata collettività locale può fare di determinate aree e si inquadra, quindi nell'ottica tipica di un'economia di sussistenza: con l'uso civico di legnatico, ad esempio, i membri di una determinata comunità godevano del diritto di raccogliere legna in un particolare bosco, considerato (impropriamente, ma non sempre o non del tutto) come di proprietà collettiva. Con quello di pascolatico era previsto il pascolo delle greggi e delle mandrie. In modo analogo funzionavano gli altri usi civici di fungatico (per la raccolta dei funghi) ed erbatico (che permetteva agli allevatori di una determinata collettività di portare al pascolo i propri animali in una determinata zona).

A Vallepietra vi era un uso civico abbastanza raro: gli abitanti erano soliti arrotondare i loro redditi costruendo canestri di corteccia che andavano poi a vendere a Roma. Avevano, perciò l'uso civico dello scortecciamento. Fenomeno più diffuso in Italia meridionale era invece quello del "livello", ossia l'utilizzo sotto il profilo agricolo di un terreno, mediante il cosiddetto libello, o contratto. Con il passare del tempo e il mutare dei metodi produttivi in agricoltura questa modalità di uso comune dei beni collettivi è andata via via perdendo d'importanza, anche per le profonde inefficienze ed il disordine organizzativo che creava.

Proprio la particolare attitudine della fattispecie in esame al disordine indirizzò il legislatore nel 1927 a decretare che tutti i diritti di uso civico esistenti in quel momento su terre private avrebbero dovuto essere rivendicati e regolarizzati dando la possibilità ai soggetti di affrancarli e, quindi, di trasformare la proprietà gravata da uso civico in piena proprietà assoluta ed esclusiva, istituendo un apposito magistrato detto Commissariato agli usi civici, con lo scopo principale, ma non solo, di liquidare tali usi (qualora vertenti su terreni privati), nonché col potere di regolare amministrativamente gli usi non liquidati (interessanti terre comunali, frazionali o di altri enti, ovvero su superfici acquee).

Nel 1927 il legislatore mira a distinguere i vari usi civici in due principali categorie: terre di proprietà collettiva (demanio civico) e terre di proprietà privata ma su cui grava un diritto di uso civico in favore della collettività. I proprietari di terre con gravame di uso civico possono togliere tale vincolo, risarcendo la comunità in denaro (liquidazione) o in terra (scorporo), ai sensi degli artt. 5, 6 e 7 della Legge 1766/1927. In quest'ultimo caso viene delimitata una porzione del fondo che diventa di proprietà collettiva (demanio civico) dove la comunità esercita il diritto di uso civico. Ad esempio nel comune di Ardea un'intera tenuta, denominata "Banditella" era di vero e proprio demanio civico e nello specifico era destinata ad essere annualmente affittata mediante banditura all'asta (da cui il nome) ed i proventi andavano a beneficio della comunità di Ardea.

Le terre di proprietà collettiva (demanio civico) convenientemente utilizzabili per l'agricoltura sono state spesso assegnate in quote enfiteutiche ai singoli membri della comunità titolare del diritto (quotizzazioni ante 1927 e quotizzazioni ai sensi della Legge 1766/1927), in tal caso, il legislatore aveva previsto che, con particolari procedure, potessero riscattare (affrancare) le quote, divenendone pienamente proprietari.

Per maggiori dettagli leggere lo studio USI CIVICI, TERRE CIVICHE, TERRE COLLETTIVE (in Rivista di diritto agrario, 1999, II, 243 - Rubrica "Terre civiche e Proprietà collettive" a cura del Prof. Alberto Germanò, direttore dell'Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato)

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